Questo lavoro fa riferimento ad un’esperienza di conduzione di un gruppo di
danzamovimentoterapia all’interno di un Servizio Psichiatrico ospedaliero di Diagnosi e Cura del
centro Italia durato due anni. La peculiarità dell’approccio con cui vi presento il percorso è che lo
faccio in termini di dinamiche di movimento, ovvero di danza, fra tre protagonisti: l’equipe di
dmt, il gruppo di pazienti, l’istituzione accogliente.
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Il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) si trova all’interno degli ospedali ed è una
struttura per ricoveri d’emergenza. Per legge e per definizione i suoi pazienti vi risiedono per un
tempo breve, in situazioni di grande malessere (“fase acuta”), e il più delle volte sono in cura con
farmaci molto forti. Questi fattori rendono il gruppo di dmt caratteristico rispetto ad altri gruppi
clinici: il rapido turnover dei pazienti fa sì che la maggioranza delle persone non sia quella che
resta ma quella che cambia; il più delle volte cambiano tutti, e l’unica costante è
nell’immaginario degli operatori e delle loro istituzioni. Si potrebbe dire che questo tipo di
gruppo sia l’esempio estremo di gruppo aperto. Si tratta inoltre di “un gruppo a sorpresa”:
numero dei partecipanti, caratteristiche delle persone, patologie, motivi e modalità del ricovero,
storia, età, sesso, ecc.. sono tutte caratteristiche che si scoprono solo quando inizia la seduta. In
un certo senso, ogni seduta è “un percorso a termine immediato, per cui si lavora su obiettivi
circoscritti all’incontro 1
.
Lavorando con un gruppo del genere non è possibile prospettare un percorso terapeutico, un
lavoro in divenire. Il gruppo non ha modo di sviluppare una propria personalità, delle dinamiche
interne proprie, di evolvere nel percorso terapeutico, e la seduta di dmt rappresenta sempre “una
prima volta”. E’ come se il gruppo rimanesse fortemente vincolato all’istituzione, restando ad un
livello di manifestazioni proprie molto elementari. Il rapporto più continuativo “corposo” è 2 piuttosto quello con l’istituzione accogliente: l’aspetto principale del lavoro diventa proprio la
costruzione di un rapporto con quest’ultima. 3
.
Date queste premesse, al momento di fare una valutazione del percorso, ho scelto di considerare
come protagonisti: l’istituzione accogliente, l’istituzione che io e la mia equipe di dmt rappresentiamo 4, e il gruppo come entità.
Ho quindi sistematizzato i dati raccolti da me e dalla collega con cui lavoravo in co-conduzione, rilevando per ciascuno i seguenti elementi:
istituzione: numero, ruoli, sesso dei presenti; eventi inconsueti o da notare.
dmt: numero, sesso e identità delle persone dell’equipe di dmt; attività centrale;
variazioni nel setting, eventi inconsueti o degni di nota (per es. se un’attività normalmente
svolta in piedi si svolge seduti).
gruppo: numero dei presenti (sesso indicato solo se il gruppo è omogeneo: tutte donne o
tutti uomini; include ritardi, drop out, partecipazioni esterne al servizio); clima (se
reputato rilevante e se presente negli appunti delle conduttici); eventi inconsueti o degni
di nota.
Successivamente ho riletto i dati cercando delle correlazioni, ed ho potuto notare come in effetti
molti elementi fossero in rapporto tra loro, rivelando un percorso ricco di dinamiche relazionali e
di influenzamenti circolari: istituzione, equipe di dmt e gruppo hanno creato, passo dopo passo,
una storia comune fatta di continue modulazioni reciproche, contrattazioni, avvicinamenti e
allontanamenti, giochi di seduzione e di potere.
A questo punto, in quanto danzatrice e danza-movimento terapeuta, non ho potuto resistere alla
tentazione di leggerle come dei movimenti, delle vere e proprie danze: ho riletto le dinamiche
relazionali e le ho danzate, traducendole quindi in dinamiche di movimento, per poi riscriverle
in termini coreografici.
Il processo è stato molto interessante e anche divertente. I risultati sono stati presentati al V°
Congresso Nazionale APID 5, sia come metodologia che come danza. Riporterò qui qualche breve
passaggio, chiedendo al lettore un pò di pazienza iniziale: il linguaggio della danza non è fatto di
parole, e pertanto leggere una coreografia può inizialmente risultare ostico… diciamo che è
necessaria un po’ d’immaginazione!
Protagonisti:
Istituzione accogliente: [i]
Equipe di dmt: [d]
Gruppo di pazienti: [g]
I° esempio:
Descrizione degli eventi:
Al primo incontro dopo la pausa estiva [i] entra nel merito di un’attività proposta da [d] , dicendo
che è pericolosa. [d] non la proporrà più e per diverso tempo resterà entro una ristretta gamma di
attività, come se si sentisse bloccata nei movimenti. Dopo qualche tempo, tre pazienti lasciano la
seduta prima della fine. In seguito [d] propone un’attività che sblocca la situazione, a cui
partecipano con entusiasmo sia lo staff che i pazienti. Quando lasciano la sala alcuni membri
dello staff addirittura se ne vanno canticchiando.
Descrizione delle danze:
E’ uno scambio di movimenti forti, con una certa tensione… qualcosa tra un tango ed un
flamenco. In questo momento appaiono come protagonisti della scena soprattutto [i], che fa da
padrone di casa, e [d] che gioca tra lo stabilire una relazione e l’affermarsi negli spazi concessi da
[i].
[g] apparentemente si muove in secondo piano, influenzato dai movimenti degli altri due, anche
se, quando il rapporto tra [d] e [i] si fa talmente forte da farlo sentire escluso, sa richiamare
nuovamente l’attenzione degli altri due, troppo presi nello scambio tra loro.
Sintesi coreografica:
[d] inizia le danze, con movimenti fantasiosi e ricchi di colori
[i] osserva immobile, poi reagisce imponendo uno stop (batte a terra un piede in modo forte ed
incisivo: flamenco)
[d] si ritrae con soggezione … il corpo è teso, il movimento è contenuto
[g] osserva i due e indispettito s’allontana
…sospensione del movimento…
[d] avanza verso entrambi (“flamenco”) + li coinvolge girando attorno a loro + movimenti ampi
= breve danza a tre:
[i] canta e si libra nell’aria con energia + [g] si fa coinvolgere + [d] gira attorno: incita / sostiene
II° esempio:
Descrizione degli eventi e delle danze:
La psicologa referente è assente per tre volte: le sedute non hanno luogo: nelle danze [i] impone
uno stop talmente forte da imporre una paralisi nella danza di tutti e tre i protagonisti. [d] reagisce
con un allontanamento fisico, come per moderare il proprio coinvolgimento (passa dalla coconduzione alla monoconduzione sostenuta dalla presenza di tirocinanti), ma allo stesso tempo aumenta la creatività della danza che propone (diversifica proposte), articolandola su vari livelli d’espressione. Stavolta la relazione principale sembra essere tra [d] e [g], il quale segue [d] muovendosi insieme a lei (l’equipe di dmt è meno inibita e si mette in gioco in rapporto al
gruppo). [i] è presente ma non interferisce (la psicologa è presente ma non partecipa), se non con
un piccolo passo-sgambetto proprio a metà della performance (un’altra assenza), come a ribadire
la propria importanza. Le presenze nel gruppo sono discontinue: a volte è molto numeroso, a volte è molto piccolo.
Sintesi coreografica:
[i] resta lontano dalla scena. Immobile, imperativo, impedisce anche agli altri di danzare
poi rientra lentamente (tango), restando ai margini + osserva i movimenti dei partners, si
muove con passo base/neutro.
[d] prende in mano la situazione: coinvolge [g] in una lunga danza ricca di ritmo e creatività, in
cui però muove solo la periferia del proprio corpo: mantiene parte centrale distante.
[g] si lascia condurre, partecipa, ma manifesta anche movimenti inquieti: a momenti si allontana,
si riavvicina, o compie movimenti di espansione/raccoglimento, come a cercare la propria forma.
III° esempio:
Un’altra chiave di lettura, in termini di movimento, è stata quella di rilevare gli stili di
movimento che si delineavano a seconda dei passaggi. Per esempio, all’inizio dell’esperienza,
l’istituzione si è resa molto disponibile, coinvolgendo molti pazienti, e con una cospicua
partecipazione dello staff agli incontri (abbiamo visto alternarsi medici, psichiatri, tirocinanti ed
infermieri).
In un secondo momento il nostro referente istituzionale è diventato un infermiere, il quale aveva
un atteggiamento svalutante nei nostri confronti e che in vari modi ostacolava lo svolgersi
dell’attività.
Successivamente è diventata nostro referente un psicologa, che faceva pressione sugli infermieri
(riluttanti) perché partecipassero.
Ho tradotto questi passaggi in termini di movimento come segue: “[i] è entrata in contatto con [d]
attraverso varie parti del corpo, compiendo movimenti fluidi al suo interno, lasciando spazio a [d]
per esprimersi ed esporsi.
Dopo un’iniziale movimento fluido ed articolato [i] ci ha mostrato quale parte del corpo dirige il
movimento (il corpo degli infermieri) ed il suo potere.
Successivamente ha preso il controllo la testa, subordinando il corpo, che esegue i suoi ordini
senza coinvolgimento”.
Ho svolto il lavoro di traduzione coreografica per l’intero percorso di due anni, ed è molto
interessante anche osservare i vari passaggi di questa danza considerandola nella sua globalità.
Tra le tante, una cosa che sicuramente è emersa è stata che la costruzione di una relazione con
l’istituzione è stata lenta e parsimoniosa. I movimenti non sono mancati, certo, ma la percezione
vissuta dal di dentro, durante i due anni di lavoro, è stata spesso di inesorabile lentezza. E’ per
questo che, a posteriori, il nome più adatto che ho trovato per descrivere quest’esperienza è stato:
la danza della tartaruga!
Bibliografia:
BELLIA V., Dove danzavano gli sciamani, Franco Angeli,Milano, 2001
CORREALE A., Il campo istituzionale, Borla, Roma, 1991
Articolo di Carlotta Basurto, pubblicato su Arti Terapie n° 11/12, nov/dic 2005 anno XI
- Nel nostro caso questi erano:
• attivazione/ stimolazione fisica e sensoriale mirata al risveglio della percezione di sé, del proprio corpo e del
piacere funzionale
• facilitazione della relazione e dello scambio interpersonale
• riconoscimento e valorizzazione delle risorse personali attraverso l’espressione creativa
• condivisione di un momento piacevole e di benessere. ↩ - La puntualità al gruppo, il numero di partecipanti, il restare fino alla conclusione dell’attività e l’atteggiamento con
cui si partecipa sono tutti esempi di manifestazioni del gruppo, ma in questo contesto tutte dipendono in larga parte
dall’istituzione: i pazienti riconoscono gli operatori del servizio come referenti, ed in fondo dipende da loro se
verranno convinti a partecipare ed accompagnati nella sede dell’attività. I pazienti inoltre sembrano risentire molto
del clima istituzionale. Quando per esempio ci sono stati momenti di forte scontento tra gli infermieri o di diffidenza
nei nostri confronti, è capitato che al gruppo ci fossero poche persone o che l’atmosfera fosse oppositiva o
depressiva. ↩ - Il lavoro a beneficio dei pazienti è implicito in quello che si svolge con l’istituzione dato che, senza il sostegno e la fiducia del servizio è molo difficile lavorare. Riuscendo invece ad avere degli sviluppi positivi, ne dovrebbero risultare “effetti secondari” favorevoli per i pazienti stessi. Da questo infatti dipendono:
• condizioni generali per lo svolgimento dell’attività (sala adeguata, orario accessibile a utenti e compatibile
col servizio, collaborazione dello staff, ecc)
• partecipazioni/invii al gruppo
• dinamiche e atmosfera generali (che influenzano dinamiche e atmosfere del gruppo)
• collegamento/scollegamento con gli altri interventi terapeutico-riabilitativi (da cui dipende il potenziamento
reciproco del nostro e degli altri interventi, o al contrario, un’efficacia circoscritta all’intervento isolato dal
contesto. ↩ - [ <<il danzamovimentoterapeuta porta con sé come parte della propria identità almeno un’altra istituzione, “quella
riferita alle matrici professionali… alle sue identificazioni e ai suoi gruppi di riferimento, ai suoi modelli teorici e
tecnici “ (Profita e Ruvolo 1997). Inoltre, si parla di “istituire un setting”: il setting è anche una “istituzione dentro
l’istituzione”, la sua caratteristica è di porsi come istituzione altra (ovvero di universo esperienziale altro)” (ibidem).
Il setting, in quanto istituzione, è in diretto rapporto con le istituzioni interne del terapeuta (che ne è il soggetto
istituente), e viene a porsi all’interno di un’altra istituzione, che ha una propria cultura, proprie gerarchie (formali e
implicite), sistemi di valore propri.>> (Bellia 2001, pag 31) ↩ - Relazione e performance Il ballo della tartaruga: un’incontro danzante tra psichiatria e DanzaMovimentoTerapia, V° Congresso Nazionale APID: “Sul confine. La DMT e le frontiere clinico-sociali” tenutosi a Villasimius (Cagliari), Luglio 2002 ↩
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